La crisi crea il «socialismo per i ricchi»

propongo un editoriale scritto da Alfonso Tuor che si occupa in questo EDITORIALE di Mutui subprime,
secondo la mia opinione è molto interessante e merita una vostra lettura, questo articolo è stato pubblicato nel Corriere del Ticino giorno 08-08-08 alle ore 23:36 link qui

La crisi crea il «socialismo per i ricchi» di Alfonso Tuor

La crisi dei mutui subprime «festeggia» oggi il primo compleanno. Infatti esattamente un anno fa, il 9 agosto 2007, la Banca centrale europea scendeva in campo per iniettare oltre 90 miliardi di euro di liquidità per frenare l’impennata dei tassi sul mercato interbancario. Quella fu la prima ammissione ufficiale che qualcosa di molto grave stava accandendo nei mercati finanziari dopo la chiusura di due Hedge Funds della banca americana Bear & Stearns attivi nello scambio di titoli legati al mercato immobiliare statunitense. L’intervento della Banca centrale europea immediatamente seguito da quelli della Federal Reserve e della nostra Banca Nazionale hanno segnato l’inizio ufficiale della cosiddetta crisi dei mutui subprime.
A dodici mesi dal suo inizio è indiscutibile che non si intravvede ancora la fine di questa crisi e che è quindi possibile che potremmo essere chiamati a «festeggiare» altri compleanni. Infatti quella, che in Svizzera e in Europa è apparsa finora come una crisi che ha colpito duramente alcune grandi banche, sta cominciando ora ad intaccare pesantemente la crescita economica e quindi a toccare tutti. Questa scadenza offre comunque l’opportunità di ricordare le origini di quella che è la più grave crisi del sistema bancario di questo dopoguerra.
Il tracollo dei mutui ipotecari subprime è in realtà unicamente il detonatore di una crisi che mette in luce problemi ben più gravi: un’enorme espansione del credito, ossia una vera e propria bolla creditizia, favorita ed ampliata dalla nuova ingegneria finanziaria. È infatti il credito facile e a basso costo che provoca (e non solo negli Stati Uniti) un’impennata dei prezzi degli immobili. Il segmento dei mutui subprime è ovviamente quello più a rischio, ma rappresenta solo una piccola parte, valutata attorno ai 1.000 miliardi di dollari, dell’intero mercato ipotecario americano. Se il problema fosse confinato a questo comparto, dopo oltre 400 miliardi di dollari di perdite denunciate dalle banche nell’ultimo anno, la crisi sarebbe già stata archiviata. In realtà, i problemi non si limitano ai mutui subprime e si sono già estesi agli altri comparti del mercato immobiliare, ai crediti al consumo, ai leasing, ai crediti agli studenti e con la frenata economica attualmente in corso si estenderanno ai crediti industriali.
La gravità della crisi non è tanto rappresentata dalla solvibilità dei soggetti indebitati, ma dal modo in cui il sistema bancario ha finanziato questi crediti. Infatti la quantità dei crediti è stata moltiplicata dal processo di cartolarizzazione, ossia dall’impacchettamento delle ipoteche (o di altri crediti) concesse dalle banche in titoli che poi venivano venduti sui mercati (le cosiddette Asset Backed Securities). Nulla di preoccupante, fino a questo stadio. Anzi, il trasferimento a milioni di investitori dei rischi prima detenuti dalle banche, avrebbe dovuto rendere più sicuro l’intero sistema. In realtà, questo era solo il primo passo, poiché gli uomini di Wall Street avevano dato libero sfogo alla loro fantasia attuando una vera e propria moltiplicazione di questi crediti. Infatti, le obbligazioni inizialmente vendute sul mercato (le cosiddette ABS) venivano nuovamente reimpacchettate e rivendute, e quindi trasformate in obbligazioni di obbligazioni (i cosiddetti CDO), che a loro volta venivano reimpacchettati in CDO al quadrato, che poi venivano clonati in modo sintetico, usando i derivati, che ovviamente venivano ancora rivenduti.
Ma c’è di più, su tutti questi strumenti si sviluppa un enorme mercato, chiamato dei Credit Default Swap, che teoricamente, insieme a vere e proprie compagnie assicurative (le cosiddette «monolines») dovevano garantire il detentore di questi titoli di fronte ai rischi di insolvenza. E non è ancora finita, su questi titoli si scommetteva sull’andamento dei tassi ed altro ancora. È stato calcolato che su ogni 100 dollari di ipoteca Wall Street era riuscita a costruire e poi a vendere almeno sei strumenti finanziari diversi. Per le banche questa è la nuova ingegneria finanziaria; per ogni persona di buon senso questa è un’enorme catena di Sant’Antonio di carta straccia, anche se munita di sofisticati prospetti di presentazione, di rating tripla A e di calcoli del rischio dei titoli elaborati da matematici e fisici assoldati dalle banche.
E infatti appena il mercato immobiliare americano ha cominciato a scricchiolare e, quindi, non appena sono sorti i primi dubbi sulla capacità di pagare i tassi e di restituire i prestiti ipotecari, il castello di carte è rapidamente crollato. Il crollo ha messo in luce alcuni aspetti sorprendenti. La cartolarizzazione non aveva disperso il rischio, che come un boomerang ha colpito le banche che avevano avviato il processo. Si è scoperto inoltre che le banche erano a tal punto «dipendenti» da questi strumenti tossici che avevano costruito delle società fuori bilancio (chiamate SIV o Conduit) che detengono ancora circa 5.000 miliardi di dollari di questi titoli.
Dall’agosto dell’anno scorso nessuno vuole più questi strumenti inventati dalla nuova ingegneria finanziaria. Addirittura le stesse banche non si fidano l’una dell’altra. Ciò ha costretto le banche centrali a scendere in campo per sostituirsi al mercato continuando a finanziare le banche e diventando di fatto gli acquirenti di ultima istanza dei titoli detenuti dal sistema bancario. E infatti la storia dell’ultimo anno è costellata di continui interventi statali (soprattutto negli Stati Uniti) per salvare il sistema bancario ed evitare una crisi sistemica. Come scrive il settimanale «The Economist», con la motivazione che le conseguenze del fallimento di una grande banca sarebbero devastanti per l’intera economia mondiale, siamo entrati in una fase di «socialismo per i ricchi». Ma il «Welfare State» (ossia lo stato assistenziale) approntato per le banche ha permesso di guadagnare tempo, ma non ha risolto la crisi. Anzi, essa colpisce sempre più duramente l’economia reale. Gli Stati Uniti hanno evitato finora di cadere in recessione grazie al piano di ristorni fiscali di Bush, ma molti prevedono che vi cadranno nei prossimi mesi. Sorprendentemente anche l’economia europea, che doveva essere più resistente, sta subendo una brusca frenata che fa temere che presto non potrà evitare di cadere in recessione.
La crisi dei mutui subprime si è già trasformata nella crisi del sistema bancario occidentale e ora rischia di provocare una pesante recessione delle economie occidentali. In conclusione, è certo che l’uscita da questa crisi, che è la più grave di questo dopoguerra, non è prossima. Incerto invece è quanti compleanni saremo ancora costretti a «festeggiare».

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